Per cambiare è necessario un balzo nella fede.

Dobbiamo mollare la volontà di controllare tutto quello che succede, fede e coraggio sono la ricetta per abbandonarci completamente.

In tal modo scopriremo che la vita è un periodo di apprendimento, e va sperimentata pienamente, e solo allora potremmo imparare dalla vita.

La via dell’apprendimento conduce ad una vita ed ad una morte migliore. Che cosa ci aiuterà al momento della morte se non le nostre realizzazioni spirituali?

La pratica di consapevolezza, offre un lavoro di pulizia delle contaminazioni che si sono accumulate nella nostra coscienza, cioè rimuove i veleni dell’invidia, dell’ira.

In più, attraverso la pratica conosceremo il nostro io, e cioè non l’io condizionato dalle richieste esterne, ma il vero io, che possiamo trovare solo smascherando il modello condizionato.

Ecco la grande fortuna dell’essere umano, avere i mezzi per progredire e giungere allo sviluppo della saggezza innata, che ci permette di assaggiare quella grande pace, serenità e comunione che nascono quando non c’è più un “io” o un “mio”. Non c’è più competizione, possessività, brama per le cose.

E’ importante non essere aggressivi con se stessi, per non esserlo poi verso gli altri, e soprattutto non scordare mai che qualsiasi sbaglio può diventare un occasione di apprendimento.

Il vero ostacolo nel nostro cammino, è l’orgoglio: solo attraverso l’abbandono, l’umiltà e la capacità di accettarci così come siamo, possiamo effettivamente osservare ciò che ci sta davanti e vivere finalmente la vita con la pienezza e la gioia di che è presente a ogni passo, ad ogni momento del viaggio.

Quando con l’ausilio della saggezza si capisce che tutte le cose sono impermanenti, ci si stacca dalla sofferenza e si intraprende il sentiero della purezza.

E’ molto difficile prendere atto della nostra solitudine: ci affanniamo a tenere occupata la mente per non avere modo di sperimentare ciò che accade nel nostro profondo.

Infatti la prima verità del Buddha è che la vita è Dukkha, e cioè sofferenza: se vogliamo che questa verità ci aiuti a risvegliare la fede, dobbiamo vedere il disagio come una valutazione errata del nostro attaccamento a ciò che è elusivo e falso. Perché questo attaccamento al mondo materiale? Semplicemente perché siamo assuefatti al piacere: un mostro che divora l’umanità. E’ l’input che lega la mente alla sfera dei sensi e ci ipnotizza nel mondo della sensualità.

11 Aprile 2017