Lo yoga oggi è spesso associato alle posizioni fisiche (asana) e al benessere corporeo. Ma lo yoga, nelle sue origini, era molto più di questo. Patanjali, un saggio vissuto circa 2000 anni fa, ci ha lasciato un testo fondamentale, gli Yoga Sutra, che descrive il vero scopo dello yoga: calmare la mente e liberarsi dalle sue agitazioni, unire la propria essenza al Divino.
La sua figura è avvolta nel mistero. Non esistono prove storiche certe sulla sua vita, e non sappiamo se fosse un individuo reale o un simbolo collettivo. Secondo le tradizioni indiane, visse tra il 200 a.C. e il 200 d.C. e viene spesso considerato un’incarnazione divina del serpente Ananta, simbolo dell’infinito e del sostegno cosmico. Nonostante le incertezze sulla sua esistenza, ciò che conta è il messaggio che ci ha lasciato: un percorso chiaro e profondo per fermare le fluttuazioni della mente e raggiungere uno stato di pace interiore.
Il suo nome significa caduto (pat= cadere) sulle mani in preghiera (anjali= offerta, ma anche anjali mudra = gesto delle mani in preghiera).
Il suo lascito, oltre ad altre opere che gli sono state attribuite (un trattato di grammatica e uno di medicina sull’Ayurveda) sono gli Yoga Sutra, una raccolta di 195 brevi aforismi (sutra) scritti in sanscrito.
Si ritiene che Patañjali abbia compilato insegnamenti che fino ad allora erano stati tramandati oralmente; egli fu il primo a metterli per iscritto, e per questo viene considerato il fondatore del Raja Yoga, la disciplina mistica alla base dello Yoga classico (Yoga darśana), sistema filosofico-religioso dell’induismo ortodosso.